Nata in una delle più ricche e potenti famiglie ungheresi, Erzsébet Bathory (1560-1614) è passata alla storia come la contessa sanguinaria.
Attraente, dai capelli corvini e la carnagione bianca, Erzsébet era oltremodo ricca (amministrò personalmente il suo consistente patrimonio) e colta (parlava la lingua ungherese, il latino e il greco).
Ossessionata dall’idea di non invecchiare, credette di trovare il segreto dell’eterna giovinezza nel sangue delle sue vittime, giovani donne vergini. Secondo la leggenda ne uccise oltre 600; gli storici invece parlano di un numero compreso tra 100 e 300.
Tutto ebbe inizio quando la contessa picchiò una sua domestica, facendole uscire sangue dal naso. Alcune gocce ematiche finirono sulla mano di Erzsébet. Qualche giorno dopo, la nobildonna credette che il tratto di pelle bagnata dal sangue della serva fosse più fresco e più liscio di prima e, da quel momento, iniziò a fare abluzioni nel sangue di giovani vergini.
La sanguinaria contessa si convinse che quanto più le sue vittime fossero state di bell’aspetto, tanto più lei si sarebbe garantita l’eterna giovinezza. Fu così che torturò ed uccise contadine e figlie della piccola nobiltà.
Nel suo castello custodiva uno strumento di tortura che si era fatto costruire appositamente da un orologiaio svizzero, la “Vergine di Ferro”: una gabbia di metallo dalle sembianze femminili con una lunga chioma bionda (forse, appartenuta ad una delle sue vittime), al cui interno nascondeva una serie di lame e chiodi. Le vergini sventurate venivano rinchiuse nella gabbia e morivano dissanguate.
Un altro metodo usato dalla Bathory era quello di fare incatenare a capo in giù le malcapitate, per seviziarle. Il sangue fluiva copioso per essere raccolto ed usato da Erzsébet.
L’assassina seriale aveva dei complici: Dorothea Szentes, esperta di magia nera, la fedele cameriera Ilona Joó, János Újváry (amante di Erzsebet) e Katalyna Beniezky.
La biografia
Erzsébet nacque nel 1560 a Nyirbator, un villaggio nel nord-est dell’attuale Ungheria, da Ana Báthory Somlyó e da George VI Bathory Ecsed ; fu sorella di Ştefan Báthory, incoronato re della Polonia e della Lituania.
I suoi genitori erano cugini e nella sua famiglia non mancavano altri matrimoni tra consanguinei e diversi casi di malattie mentali: molti membri del casato Bathory erano afflitti da disturbi del sistema nervoso, tra cui: casi di epilessia e di schizofrenia.
Si narra che Erzsébet mostrò i primi segni di squilibrio mentale sin dalla prima infanzia: all’età di 4 anni soffriva di crisi comportamentali violente, passando in modo repentino dalla calma alla collera.
A quindici anni, la contessina sposò il cugino 27enne, il conte Ferenc Nádasdy, soprannominato il “Cavaliere Nero”. Gli sposi vissero nel castello di Čachtice (oggi, in Slovacchia), scenario delle atrocità commesse da Erzsébet Bathory.
Il marito fu un militare valoroso, spesso assente dal castello perché impegnato nelle spedizioni di guerra contro i turchi. Ma quando era in compagnia della sua sposa non disdegnava comportamenti sadici nei confronti del personale di servizio.
Erzsébet Bathory
Il conte Ferenc Nádasdy
Ferenc Nádasdy era a conoscenza dei crimini commessi dalla moglie e pare che più volte tentò di convincerla a smettere, quanto meno per scongiurare un possibile scandalo.
Il Cavaliere Nero morì nel 1604 e, da quel momento, il numero degli omicidi commessi dalla vedova aumentarono. Le voci sulle sparizioni di donne della nobiltà ungherese divennero insistenti e la fine della contessa giunse per mano di un suo cugino, il conte Palatino d’Ungheria Gyorgy Thurzò.
Thurzò fece aprire un’inchiesta e l’imperatore Mattia II spedì una squadra d’ispezione guidata dallo stesso Thurzò al castello degli orrori, nelle cui segrete furono rinvenuti cadaveri straziati e giovani agonizzanti. L’imperatore condannò la contessa ad essere murata viva nella sua camera da letto, ad eccezione di una feritoia da cui fare passare il cibo.
Quattro anni più tardi, Erzsébet Bathory pose fine alla sua esistenza, lasciandosi morire di fame all’età di cinquantaquattro anni.